tribunale-roma_rg-564202020.pdf
Lo Studio dell'Avvocato Tummarello riporta una recente sentenza emessa dal Tribunale di Roma nel Gennaio 2021 in un caso di un cittadino del Pakistan che doveva essere giudicato per determinare lo Stato Europeo competente ad analizzare la sua domanda di protezione internazionale. Si chiamano "Dublinanti" nel gergo della materia migratoria i cittadini non appartenenti all'Unione Europea che entrano in Europa per richiedere Asilo, e lo fanno in diversi Stati dell'Europa perché magari attraversano una percorso o una rotta (i Balcani o il Mediterraneo ad esempio) che tocca diversi Paesi dentro il confine giuridico europeo. Si pensi ai migranti che dall'Africa partono e magari sbarcano a Malta pe poi passare in Italia e da lì in Germania, un percorso questo che ha coinvolto negli ultimi anno diversi cittadini extracomunitari fuggiti da situazioni Governative di forte insicurezza e violazione di ogni diritto umano. Inizia allora il "rimpallo delle competenze" tra questi Stati ai sensi del Regolamento Dublino N. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi per determinare appunto chi dovrà giudicare l'asilo del migrante. La sentenza che riporto è interessante perché appare molto attuale e concerne la famosa "rotta Balcanica" e cioè quel percorso che definire ad ostacoli è un eufemismo e che interessa diversi cittadini che dal Medio Oriente fuggono da situazioni di guerra o di rastrellamento per il combattimento in Siria, Afghanistan o altrove in quelle zone quotidianamente colpite da instabilità globale. Nell'Ordinanza del Tribunale di Roma si riconosce la prassi delle riammissioni informali in Slovenia dei migranti sottoposti di fatto ad un respingimento a catena fino in Bosnia, esponendo in tal modo i richiedenti asilo a trattamenti inumani e degradanti (pag. 12, Ordinanza). Ciò si pone in contrasto con i trattati e le convenzioni a tutela dei diritto di chiedere la protezione internazionale cui l'Italia ha aderito, anche ai sensi della Carta Costituzionale all'art.10 comma 3, per cui il Tribunale di Roma nel caso riportato ha bloccato il trasferimento verso la Slovenia ordinando all'Italia di esaminare la domanda ai protezione presentata dal cittadino del Pakistan, ponendo dunque un precedente giurisprudenziale importante per garantire i diritti dei migranti che intendono presentare la domanda di asilo in un Paese Europeo che garantisca l'effettivo esercizio di tale diritto. Lo Studio Tummarello resta ovviamente a disposizione per eventuali chiarimenti del caso.
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Si è sparsa sui social e sui quotidiani nazionali e locali ed è subito rimbalzata tra le voci dei vari Ristoratori la forma di protesta che prevede l’iniziativa di alcuni esercenti di restare aperti la sera a cena del 15 Gennaio 2021, oltre gli orari consentiti dai vari DPCM attualmente in vigore del Governo. Tale forma di “disobbedienza civile” ha preso il nome di #ioapro e pare sia stata lanciata da uno Chef su Twitter attraverso il quale si invitano gli aderenti a tenere aperti i propri locali la sera a cena per far accomodare la gente. E’ bene tuttavia chiarire l’aspetto Legale di tale iniziativa, ed informare che ciò si pone in netto contrasto di Legge viste le disposizioni contenute nell’ultimo DPCM del 3 Novembre 2020 in vigore dal 6 Novembre 2020 in cui si dividono le zone gialle, arancioni e rosse nel territorio Italiano a seconda del grado di incidenza del virus-Covid con le limitazioni all’apertura dei ristoranti che devono chiudere, tassativamente, entro le ore 18.00. Quindi chi aderirà all’iniziativa, denominata #ioapro, commetterà una violazione amministrativa sanzionabile da € 400,00 ad € 1000, con l’unica possibilità di ottenere un eventuale “sconto” del 30% se si paga entro 5 giorni. In questi casi la multa sarà di 280 euro. Le sanzioni amministrative possono essere impugnate entro 30 giorni dalla contestazione con un ricorso davanti al Giudice di Pace localmente competente a seconda del luogo ove è stata contestata la multa. Chi non ci sta a pagare la multa potrà motivare le proprie ragioni e allegare la documentazione utile, oltre a indicare eventuali testimoni. Agli occhi di chi scrive appare poco consigliabile la scelta di aderire a tale forma di protesta, in primis perché costituisce una violazione di Legge su cui non si ravvisano alcuni motivi o ragioni di opposizione, essendo in vigore un provvedimento del Governo che mette la tutela della salute pubblica come principio primario da tutelare così come sancito nella Costituzione, che non prevede eccezioni come quelle alla base dell’iniziativa #ioapro. Opporsi alla sanzione motivando un’eventuale crisi economica non può costituire un diritto superiore a quello che la Repubblica deve garantire sulla salute individuale delle persone. A farne le spese sarebbero anche poi i clienti che si troverebbero fuori dalla propria abitazione e senza un valido motivo di necessità per cui anche quest’ultimi potrebbero essere potenzialmente sanzionabili assieme al Ristoratore, con un risultato a dir poco “sconveniente” per entrambi. Si resta ovviamente a disposizione per ulteriori chiarimenti e necessità del caso. Mi è capitato di recente di difendere in un giudizio Penale dei Clienti nella delicata fase dell’istruttoria Dibattimentale.
Quella fase in cui nel primo grado di giudizio Penale davanti al Tribunale le parti, accusa e difesa, presentano i propri Testimoni e li sottopongono all'esame incrociato delle domande poste dal Pubblico Ministero e dall'Avvocato difensore. E’ una fase determinante, poiché è qui che nel processo l’accusa cerca di fondare le proprie tesi accusatorie verso i fatti commessi dall'imputato, presentando testimoni a sostegno del reato così come riportato nel capo di imputazione. Viceversa quando tocca alla difesa presentare dei testimoni a proprio vantaggio, essi devono essere quelli che con le loro dichiarazioni possono smontare l’accusa e far emergere tutta un’altra realtà dei fatti, favorevoli all'imputato. Ci sono delle regole processuali da seguire per fare l’esame ed il contro-esame dei testimoni. Ed è una sorta di “battaglia” tra il Pubblico Ministero e l’Avvocato difensore, con domande ed opposizioni che si susseguono con un solo arbitro, il Giudice. Egli deve consentire le domande ammesse dal codice di rito, ed eliminare (a volte dichiarando la non ammissione, che di fatto equivale alla non trascrizione nel verbale di udienza) quelle non autorizzate. Ed è ciò che è accaduto nel corso del mio contro-esame nel processo che ho seguito di recente, dove a seguito delle dichiarazioni del teste portato dal pubblico ministero, ho dovuto con maestria cercare di far “crollare” uno dei testi più importanti presentati dall'accusa a sostegno di quanto accertato. E’ stato un momento stimolante che ho portato a casa con un evidente successo in quanto i miei Clienti, seduti vicino a me ed imputati nel processo, si sono congratulati con me per quanto detto ed a volte "urlato" verso il testimone. Sono stato “ripreso” anche dal Giudice in alcune occasioni, ma questo fa parte del mio mestiere! In generale per quanto riguarda le domande ritenute non ammissibili, il codice di rito prevede che in qualunque fase dell’esame “sono vietate le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte” (cd. domande nocive). Risultano, dunque, inibiti quegli espedienti volti a limitare la libertà morale dell’esaminando: non trovano spazio, pertanto, le paventate minacce, gli allettamenti, le parole o i gesti violenti e gli atteggiamenti di provocazione o derisione. Al pari delle nocive sono vietate le domande “inopportune”, menzionate espressamente dal codice previgente come domande inammissibili, che sono motivate da mere curiosità o divaganti, e le domande “trabocchetto”, ovvero quelle che muovono dalla premessa di un fatto (consapevolmente) falso. Sono anche vietate, seppur nel solo esame diretto, le domande suggestive, ossia quelle che implicitamente suggeriscono la risposta. Ed è in questo senso che ho dovuto svolgere il mio lavoro di Avvocato difensore e cioè porre delle domande volutamente suggestive che tendessero a portare il teste ad affermare, o comunque a non poter negare, la tesi difensiva da me costruita. Lo Studio dell’Avvocato Tummarello resta a disposizione per consulenze in ambito Penale per ogni esigenza del Cliente, ricordando che lo stesso Avvocato è abilitato anche al patrocinio nelle giurisdizioni superiori quale la Corte Suprema di Cassazione in Roma. Continua il periodo di tempo concesso dal Ministero dell'Interno di concerto con le politiche di coesione sociale che coinvolgono il fenomeno migratorio per quanto riguarda la Sanatoria 2020.
Il termine per presentare l'istanza in via telematica è fissato al prossimo 15 Agosto dopo che è stato prolungato di un ulteriore mensilità a partire dalla metà del Luglio scorso. Si sono presentate alcune critiche alla procedura che hanno costretto il Ministero ad emettere numerose FAQ e Circolari esplicative in risposta ai vari dubbi sulla corretta gestione del rapporto "Datore di Lavoro-Lavoratore" che si intende formalizzare con i due canali previsti dalla normativa sulla Sanatoria, in sostanza l'emersione da lavoro in "nero" oppure la nuova instaurazione di un rapporto di lavoro con un cittadino extracomunitario irregolare sul territorio o con premesso scaduto a far data dal 31.10 2019. Personalmente ho patrocinato varie sanatorie e sono soddisfatto della procedura, a parer mio abbastanza semplice nei passaggi da compiere attraverso il portale Telematico fornito dal Ministero dell'Interno. Sono dotato del sistema SPID con le Poste, e questo mi ha permesso di inoltrare la domanda in via Telematica e di poter avere la ricevuta di presentazione dell'istanza di sanatoria, consegnarla al Lavoratore che in tal modo può soggiornare legalmente sul Territorio fino alla data fissata per la presentazione allo sportello della Prefettura competente per sottoscrivere il contratto di soggiorno ed iniziare il lavoro scelto. Resto a disposizione per eventuali appuntamenti in Studio per fornire ogni consulenza del caso che si renda necessaria alla Clientela dello Studio dell'Avvocato Tummarello su tale argomento. Con la sentenza del 22/02/2018 N. 8736, pronunciata dalla V Sezione della Cassazione penale è stato affermato due anni fa il principio secondo cui la riproduzione di uno “screen-shot” rappresenta una prova legale a tutti gli effetti, a prescindere dalla sua autenticazione.
La tematica appare interessante e di estrema attualità per l'utilizzo dei Social e del cellulare in generale che coinvolge oramai l'intera giornata di tutti noi. E' sempre più raro infatti trovare una persona, un giovane (difficilissimo) o un adulto (anche qui difficile, ma con qualcuno che ancora resiste!) che non sia in possesso di uno Smartphone adibito a varie funzioni come whatsapp, fotografie, radio, GPS, e quant'altro. Ed è in questo tema che appare interessante ricordare la pronuncia della Suprema Corte sulla validità processuale penale del c.d. "screen-shot" ossia la fotografia della schermata del cellulare che contiene un messaggio o una serie di messaggi o una fotografia o un documento, ad esempio. Su questo principio è ritornata la Cassazione con la recente sentenza N. 8332/2020 nell'aver qualificato come piena prova all'interno di un processo penale la riproduzione di uno screen-shot, certificando dunque tale forma di memorizzazione digitale come prova documentale precostituita ai sensi dell'art 234 c.p.p., quindi parificando lo screen-shot ad ogni scritto o altro documento in grado di rappresentare persone, fatti o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo. Di conseguenza l'orientamento della Cassazione sulla validità probatoria degli screen-shot appare oramai consolidato e granitico, per cui attenzione a come si usa il proprio Smartphone che, in alcuni casi, mi permetto di osservare può rivelarsi anche un valido strumento di difesa personale da ingiurie, minacce, calunnie, diffamazioni ricevute o scambiate via SMS e magari poi cancellate ma rimaste nello screen-shot di qualcuno. Lo Studio dell'Avvocato Eugenio Tummarello resta ovviamente a disposizione per ogni chiarimento del caso. Con la sentenza n. 12348/2020 del 16 Aprile 2020 le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione sono state chiamate a risolvere un contrasto di diritto sulla questione della rilevanza penale della fattispecie riconducibile alla coltivazione tra le mura domestiche di piante di Cannabis.
SI deve precisare che il bene giuridico tutelato dalla Legge in questo caso è quello legato alla "salute individuale e collettiva", ed applicando il principio di offensività in concreto i Giudici di Piazza Cavour hanno sancito che non è punibile chi coltiva Cannabis in casa per uso personale qualora, l'esiguità del numero di piantine il prodotto e i mezzi usati, consentano di escludere lo spaccio. Il fatto posto all'attenzione dei Giudici vedeva un soggetto condannato alla pena di Anni 1 di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa per aver tenuto e coltivato 2 piantine di Cannabis da cui erano stati tratti 11 grammi di sostanza. Posto che secondo gli ermellini il reato di coltivazione di stupefacenti è ravvisabile nell'immediatezza, tenuto conto della particolarità della pianta a produrre sostanza drogante a prescindere dalla effettiva quantità di principio attivo, le Sezioni Unite hanno però chiaramente distinto tra la detenzione ai fini di spaccio con rilevanti quantità di piante con un impianto organizzato di coltivazione botanica destinata a trarne una considerevole quantità di prodotto, da una mera detenzione domestica di un piccolo numero di piante senza alcunché di organizzato, configurandosi in tale ultimo caso una condotta NON punibile per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell'ambito del mercato degli stupefacenti, che appaiono quindi destinate in via esclusiva all'uso personale del coltivatore. Sono da considerarsi dunque lecite e non punibili, per mancanza di tipicità, le esigue coltivazioni domestiche con strumenti e modalità rudimentali da cui si possa ricavare una quantità minima di sostanza drogante destinata ad un uso strettamente ed esclusivamente personale. Resto a disposizione per eventuali chiarimenti sul tema. A fronte dell'emergenza COVID ed a causa della crisi del settore Agroalimentare che nel nostro Paese si reggeva in piedi anche (grazie) al lavoro svolto da persone straniere non appartenenti all'Europa, è in corso di pubblicazione il decreto "rilancio" in cui si prevede la c.d. "sanatoria" per queste persone.
C'è subito da dire che, alla data odierna, il decreto non è ancora uscito in Gazzetta per quello che riguarda questo aspetto, per cui bisognerà attendere la sua pubblicazione ufficiale e leggere attentamente i decreti attuativi che ne seguiranno per comprendere bene a chi è rivolto e come funziona. E' comunque uscita una prima "bozza" di tale sanatoria che qui intendo commentare. Innanzitutto vi è da dire che non è un "libera tutti", ma si prevedono due canali di regolarizzazione per cittadini stranieri non in regola con il permesso di soggiorno nel territorio. La finalità di tale decreto è quello di garantire in alcuni comparti del nostro settore produttivo la presenza di manodopera lavorativa che l'attuale emergenza sanitaria ha sottratto. Oltre a cercare di eliminare il fenomeno del "caporalato" che non intendo qui commentare. il primo canale è che il datore di lavoro che aveva alle sue dipendenze cittadini italiani o stranieri anche NON in regola con il permesso di soggiorno, e quindi in "nero", possa avanzare istanza di regolarizzazione del personale straniero non-UE stipulando un contratto di lavoro per la durata ivi prevista facendo così emergere dall'illegalità molti cittadini extra-comunitari che potranno così ottenere un permesso di soggiorno per lavoro in determinati settori che la sanatoria prevede. Questi settori di lavoro sono: agricoltura ed allevamento, assistenza alla persona e lavoro domestico. L'altro canale è invece richiesto direttamente dal cittadino extra-comunitario che, avendo già lavorato regolarmente in uno dei tre settori suindicati (da dimostrare documentalmente) e con permesso scaduto dal 31.10.2019 e non rinnovato, può ora richiedere un permesso temporaneo di mesi 6 per la ricerca di lavoro nei settori già detti. E' previsto nel primo caso il pagamento di un contributo per il datore di lavoro di € 400,00 e nel secondo di € 160,00. Per tutti coloro che avanzano la richiesta è prevista comunque la dimostrazione della presenza in Italia antecedente alla data dell''8 Marzo 2020. Staremo a vedere cosa dirà nel dettaglio la normativa quando diverrà ufficiale, e comunque resto a disposizione per ogni chiarimento del caso per coloro che mi vorranno contattare anche per fissare un appuntamento in Studio. Mi occuperò di spiegare brevemente la procedura per ottenere la validità del matrimonio celebrato all'estero agli effetti della Legge Italiana. Sono sempre più frequenti i casi di coppie di italiani e stranieri che si uniscono e che celebrano il matrimonio all'estero, e che poi rientrano cercando di ottenere il riconoscimento del loro rapporto anche nel nostro territorio. Innanzitutto, per avere validità legale l'atto di matrimonio deve essere trascritto nel Comune territorialmente competente. Il certificato di unione ottenuto all'estero deve provenire da un Ufficio dello Stato Civile straniero e deve essere legalizzato e tradotto. Deve essere legalizzato da una Rappresentanza Consolare/Diplomatica Italiana presente sul Paese estero da cui proviene l'atto. Sulla "legalizzazione" si potrà, in certi casi, usufruire dell'apposizione della "postilla" (o apostille) che sostituisce la necessità di legalizzare gli atti, ed è prevista solo per gli Stati che hanno sottoscritto la Convenzione dell'Aja del 1961 (Vedi lista Paesi).
La Rappresentanza Consolare/Diplomatica Italiana che riceve l'atto così tradotto e legalizzato, ne cura poi la trasmissione presso l'Ufficio del Comune Italiano competente ai fini della definitiva trascrizione nei registri di Stato Civile. Da lì l'unione effettuata in terra straniera avrà anche effetti secondo la Legge Italiana. Vi è poi una Lista di Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione di Vienna del 1976 che prevede la sottoscrizione di un atto ufficiale "plurilingue" esente da traduzione e legalizzazione. Questi Stati sono in sostanza in gran parte quelli dell'Unione Europea compresi gli Stati dell'area Balcanica, tranne la Grecia che non ha ancora ratificato tale Convenzione al suo interno. Resto a disposizione per eventuali chiarimenti sulla procedura per ottenere quanto sopra descritto. |
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