Con la sentenza n. 3989 del 28 gennaio 2019 la Corte di Cassazione Penale ha confermato una condanna perpetrata in primo grado per il reato di stalking aggravato dall'uso di un mezzo informatico.
E' una sentenza interessante perché di estrema attualità in quanto l'utilizzo dell'applicazione di messaggistica istantanea "Whatsapp" fa parte oramai della nostra quotidianità, e tutti anche i meno esperti conoscono questo strumento di contatto immediato tra utenti con possibilità di creare/distruggere gruppi di persone con cui potersi scambiare Video/Foto o altro e che avvicina persone che magari si trovano da un capo all'altro del pianeta. Innegabile l'utilità di tale strumentazione, anche perché il servizio è gratuito e sfrutta solamente una connessione internet. Attenzione però che la tecnologia può diventare un "rischio", ed in questo caso nella recente sentenza sopra richiamata la Cassazione ha ritenuto corretto il ragionamento effettuato in primo grado dal Tribunale di merito che aveva stabilito una pena di mesi 6 per il reato di atti persecutori aggravato dall'uso del mezzo informatico in relazione ad un'imputazione modificata e resa più grave dal Pubblico Ministero per effetto della contestazione di una circostanza aggravante, l'uso appunto di Whatsapp. La Suprema Corte ha quindi ritenuto che l'impiego della messaggistica Whatsapp rientri appieno nella circostanza contemplata al II comma dell'art. 612 c.p. che prevede, come noto, un aumento della pena qualora il reato sia commesso con l'uso di mezzi informatici o telematici. Ecco allora che se usato in maniera non conforme alla Legge, Whatsapp può diventare una circostanza aggravante che si affianca ad un reato e che può determinare una sentenza di condanna con pene detentive e pecuniarie più gravi.
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Giugno 2024
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